Il marketing della fede

A differenza di quanto avviene da noi e più in generale in Europa, le chiese americane non di rado si fanno pubblicità, in genere limitandosi ad affiggere al loro esterno cartelloni con annunci e slogan di ispirazione religiosa.

Ma la “Collegiate Churches of New York” ha deciso di fare uno sforzo pubblicitario molto più imponente e di investire in una campagna su televisione, stampa, cartellonistica e Internet un milione di dollari (dei fedeli).

“La nostra chiesa sta utilizzando una serie di tecniche proprie del mondo della pubblicità per divulgare un messaggio sacro”, ha ammesso il reverendo Robert Chase, fondatore di Intersections, un’iniziativa multiculturale e multifede del Collegiate. Dopotutto, ha aggiunto, Gesù “predicava utilizzando le parabole, che sono una tecnica di narrativa. Penso che anche la pubblicità sia semplicemente una tecnica, di per sè neutrale. Può poi essere usata per strumentalizzare, oppure per promuovere messaggi positivi. E ciò che questa campagna sta vendendo è certamente un prodotto più durevole di un pacchetto di patatine”.

Scomodare le parabole per giustificare il marketing della fede mi pare un po’ eccessivo, ma di sicuro il momento non potrebbe essere più favorevole: festività natalizie e crisi finanziaria conferiscono il giusto senso di solitudine e disperazione che spesso accompagna la decisione di entrare in una chiesa.

Anni fa, in piena estate, un amico di ritorno dagli Stati Uniti mi ha raccontato di aver visto davanti a una chiesa un manifesto con scritto: “E tu credi che QUI faccia caldo?”.

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8 commenti su “Il marketing della fede

  1. Il fenomeno che contraddistingue gli americani dal resto civilizzato è che, partendo da zero, cioè, a parte i Padri pellegrini, mormoni, hamisch e altri, basta affittare una megastruttura e con un po’ di faccia tosta e coraggio annunciare prossima la fine e, indi, la salvezza eterna raccimolano vagonate di dollari. Certo che se ora si organizzano allestendo cartellonistiche ammalianti,ricchi premi e cotillons anche le tradizionali chiese come St. Patrick vorranno assomigliare a Broadway…
    A.

  2. Non e’ che trovi queste idee pubblicitarie molto negative. E’ vero che nella EU le chiese fanno di rado pubblicita’ – ma questo e’ perche’ non ne hanno bisogno. La maggior parte di noi ha avuto una educazone religiosa (vi ricordate l’ora di religione a scuola?) e tutte le nostre vacanze girano attorno a concetti Cristiani: Natale, Pasqua, Tutti Santi,….In fondo non e’ questa un’altra forma di pubblicita’.
    Negli USA la situazione e’ diversa. Nessuna delle public holidays e’ associata ad una festa religiosa (Natale e’ una eccezione – ma in realta’ e’ presente in tutte le culture). Spring break, per esempio, e’ scelto in modo tale da non sovrapporsi a nessuna festa religiosa (Pasqua, Passover,…). E la festa piu’ importante e’ in effetti Thanksgiving, che nulla ha a che fare con eventi biblici.
    Cosi’ non mi sorprende che le chiese sentano il bisogno di divulgare il loro messaggio con campagne pubblicitarie.

  3. sono d’accordo con GG in effetti. però il commento del reverendo Robert Chase mi pare proprio un arrampicarsi sugli specchi. Gesù parlava per parabole che sono una tecnica narrativa ma la cartellonistica non narra niente, fa solo pubblicità. niente in contrario ma ma mostriamo le cose per quello che sono.

  4. Sì ok che noi siamo cresciuti con un’educazione religiosa come dice GG e che invece negli States le chiese si devono procurare i fedeli, però lo slogan citato da Pamela sembra una barzelletta. Insomma va bene la pubblicità ma con un minimo di serietà

  5. verissimo ma sono pubblicità generiche a favore della chiesa cattolica, a favore del volontariato, ecc. non la singola chiesa che invita il fedele ad entrare proprio da lei con slogan quantomeno ridicoli

  6. Quoto Paolo. Un conto è invitare i fedeli a devolvere l’8 x 1000 a favore della chiesa, un altro conto è allestire davanti ad una chiesa un manifesto con scritto: “Sii pescatore di uomini: tu li catturi, LUI li pulisce”… anche se il lato folkloristico ci guadagna 🙂

  7. la chiesa dichiara di interessarsi ad internet come da sempre fa nei confronti dei mezzi di comunicazione sociale. investire in campagne pay per click per attirare più fedeli nella propria congregazione mi pare che superi di gran lunga i presupposti. non c’è nulla di male in teroria: di questi tempi si vive di pubblicità. quello che trovo assurdo e ipocrita è non dichiararlo apertamente ma voler sempre far passare tutto per ciò che non è, ma che suona meglio.

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