Twittare è un’arte, con le sue regole.
O almeno lo era, perché il social dell’uccellino azzurro, alla rincorsa di quel pubblico che non riesce a capirne le dinamiche, ha avviato un test per superare lo storico limite di 140 caratteri e portarlo a 280.
Perché? Per dar modo alla dialettica pomposa e alla retorica altisonante degli utenti Facebook di poter infestare anche il social della sintesi, della focalizzazione del pensiero, del divieto a perdersi in parole inconcludenti.
La prolissità annoia e la rigida grammatica di Twitter, che ci ha obbligato a riassumere i pensieri eliminando orpelli inutili e fastidiosi, ha migliorato la nostra capacità di comunicare.
“Less is more”, da sempre.
Chiunque sia in grado di esprimere un concetto di senso compiuto e stilisticamente impeccabile in 140 caratteri è sulla buona strada per diventare un eccellente scrittore, come testimonia Stephen King nel suo manuale di scrittura On writing:
“The road to hell is paved with adverbs” (La strada per l’inferno è lastricata di avverbi).
Come sarà il nuovo Twitter?
Un tripudio di dettagli superflui, faccine e punti esclamativi.
Un posto in cui Salvini potrà smettere di pubblicare gli screenshot dei suoi post su Facebook e Trump avrà molto più spazio per insultare.
Le dimensioni contano. Eccome