Chiarisco subito la mia posizione: sono da sempre una fan di Roberto Burioni, che ritengo professionista serio e competente e, in tutta trasparenza, ammetto anche di divertirmi parecchio quando “blasta laggente”.
Confesso inoltre una certa intolleranza nei confronti dei cosiddetti “cittadini informati” che, forti della loro laurea all’università della vita, si curano con polvere di unicorno.
Questo fa di me una snob, elitista, classista in perfetto stile Tom Wolfe?
A mia discolpa posso dire di non aver mai votato Pd, con buona pace di chi, a cadenza ciclica, mi accusa sui social di essere una “pidiota”.
Detto questo, mi pare evidente, addirittura cristallino, che sia stata una certa spocchia “di sinistra” a creare il fenomeno pentaleghista, e che tutti i Burioni, i Saviano, i Serra, i Carofiglio e gli intellettuali radical chic di questo Paese contribuiranno a far governare i gialloverdi non per 5, ma per 30 anni.
Il pensiero è stato espresso ieri all’Assemblea Pd da Dario Corallo (giovane candidato alle Primarie che sfida i big del partito) attraverso un’esternazione discutibile, grossolana, quasi oltraggiosa ma frutto di una riflessione critica che colpisce nel segno: il 99% delle persone semplicemente non può competere, ma il Piddì ha preferito raccontare il restante 1%, e quel 99 lo ha umiliato come “un Burioni qualsiasi” che si diverte a bulleggiare chi ha espresso semplicemente un dubbio.
Ha picchiato ancora più duro, sempre all’Assemblea Pd, Katia Tarasconi, consigliera regionale Emilia Romagna: “Lo spazio a Salvini e ai 5 Stelle lo abbiamo lasciato noi, con le nostre divisioni, correnti, e soprattutto con la nostra presunzione […] Dovremmo provare a dimostrare di essere una squadra e non un agglomerato di singoli presuntuosi, arroganti e spesso auto-referenziali”.
Prima di loro, e col vantaggio di avere a disposizione un libro intero per argomentare, Carlo Calenda, a mio modesto parere uno dei pochi nel Pd ad aver mantenuto una certa lucidità (o quanto meno a non aver paura di esprimerla): in Orizzonti Selvaggi (che consiglio a tutti i rivoluzionari da salotto di stampo renziano) ha avanzato la stessa critica nei confronti di un partito che si è allontanato troppo dagli elettori, dimostrandosi incapace di comprendere la profondità delle loro inquietudini.
Propongo qui uno dei passaggi più significativi:
Il M5S è diventato il primo partito, candidando come presidente del Consiglio un giovane di 31 anni privo di qualsiasi rilevante esperienza professionale. Luigi Di Maio è stato attaccato su questo punto dai partiti tradizionali di destra e di sinistra per tutta la durata della campagna elettorale. Un grave errore. La democrazia non si fonda sul cv, ma sulla rappresentanza, e le elezioni non sono un colloquio di lavoro. La rappresentanza non dipende dalla competenza tecnica ma dalla capacità di essere in contatto con la società. Attaccando Di Maio da questa prospettiva i partiti tradizionali hanno confermato il loro distacco dalla realtà.
La casta intellettuale di sinistra, del tutto incapace di fare autocritica, che attacca sui congiuntivi invece che sui contenuti, pure essendosi alienata il consenso della maggioranza continua a rifiutare di sintonizzarsi sul comune sentire del popolo, nella perenne convinzione di non essere lei a sbagliare ma che siano gli elettori a non capire.
E proprio sulle ceneri del “metodo Burioni” è nata la Terza Repubblica, sui resti di chi, forte di una sedicente superiorità intellettuale, l’ha usata per schernire la massa, trattando gli ignoranti con superiorità, credendo di poter travolgere la stupidità con l’ironia.
Per dirla con Nanni Moretti: “Con questi dirigenti, non vinceremo mai”.
Per dirla con la sopracitata Katia Tarasconi: “Ritiratevi tutti”.