Sono stata tra i curiosi di Sarahah, l’ho installata, ho ricevuto alcune decine di messaggi. Li ho letti e riletti, ho aspettato l’ispirazione per scrivere le mie conclusioni… Non è arrivata.
Per un motivo molto semplice: contrariamente ad ogni aspettativa e nonostante la garanzia di riservatezza, improperi e contumelie non hanno fatto capolino sul display. A meno che, tra le offese, non si possa annoverare quell’unico “EGOCENTRICA!”, talmente scialbo che ha avuto bisogno di maiuscolo e punto esclamativo per rivendicare un minimo di dignità.
Pochi nemici, poco onore. E’ proprio il caso di dirlo.
Sarahah, che in arabo significa “onestà”, è una app che consente la trasmissione di messaggi in forma anonima, senza diritto di replica e senza la possibilità di essere rintracciati dal destinatario.
L’idea originaria dello sviluppatore presupponeva l’invio di commenti costruttivi e suggerimenti utili, in un contesto specificatamente lavorativo.
Come no. Infatti gli scambi tra colleghi costituiscono una vera e propria miniera di positività e collaborazione (per non parlare dell’apoteosi di savoir-faire e bon ton).
Tanto immediato quanto ovvio, scatta l’allarme cyberbullismo: secondo i tuttologi sedicenti esperti di SocialMediaCosi, l’identità nascosta incentiverebbe i giustizieri della Rete a sprigionare gli istinti peggiori, in una bolgia infernale di sessismo, razzismo, omofobia e brutali scorrettezze.
Tutto vero? Per niente.
Il plotone d’esecuzione di haters e troll, che trova nel pubblico linciaggio la propria ragione di vita, non sa cosa farsene dell’anonimato.
E basterebbe una rapida occhiata al profilo di Laura Boldrini, virtuale discarica di ostilità e violenza fuori controllo, per rendersene conto.
Come conferma uno studio pubblicato su PLOS, non esiste infatti alcuna correlazione tra livore digitale e possibilità di agire in incognito:
Sebbene siamo convinti che i bulli online minaccino e offendano perché protetti dall’anonimato, in realtà è esattamente il contrario: la loro aggressività non è un comportameno irrazionale, è una presa di posizione ragionata che porta a veicolare determinati messaggi sociali o politici con l’orgoglio di associare il proprio punto di vista alla propria identità.
In pratica, il cyberbullo bullizza maggiormente quando è riconoscibile, quando può raccogliere like e diventare capobranco di quel lancio di uova virtuale che costituisce l’anticamera della pubblica gogna.
Un messaggio anonimo, rivolto privatamente a un’unica persona, senza un popolo di webeti da fomentare, non raggiunge lo scopo.
Cosa ho ricevuto io?
Complimenti liberati dal fardello di timidezza e inibizione, palesemente scritti da persone che non mi hanno mai incontrata (altrimenti non si spiega); Una sfilza piuttosto variegata e ingegnosa di sconcezze più o meno propositive e, quello che ho trovato più curioso, ringraziamenti per non so quale nobile azione.
Un “esperimento sociale”, mi rendo conto, alquanto rustico ma, nel suo piccolo, significativo.
Un po’ come quello della tipa che gira nuda per Bologna, cercando di dimostrare che “sono tutti buoni”.
In effetti, è proprio così.