Capiamoci. Già dobbiamo sopportare lo scontro elettorale peggiore di sempre, che sta logorando la nostra pazienza con promesse sconsiderate e, addirittura, concorsi a premio.
Chiedere almeno un po’ di italiano corretto non mi pare eccessivo… personalmente sarei pure disposta a pagarlo a parte.
Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca, l’aveva previsto: “Sarà la campagna linguisticamente più povera di tutti i tempi, al punto che se ne farà un oggetto di studio”.
Di studio non saprei, di derisione sicuramente.
Inutile precisarlo: la pochezza lessicale domina la scena politica soprattutto quando si ha a che fare coi 5 stelle che, ormai da tempo, complottano quotidianamente contro la grammatica italiana, Di Maio in primis.
Tanto che Vittorio Sgarbi ha presentato un esposto in magistratura per verificare i suoi titoli di studio e, addirittura, Antonio Razzi ha dichiarato: “Di Maio? Mi vergognerei al posto suo: sa l’italiano peggio di me”.
L’ultimo, in ordine temporale, è un post su Instagram in cui Di Maio propone un atto attraverso il quale si impegna a votare la proposta di legge che taglia lo stipendio dei parlamentari.
Un’idea lodevole, espressa in un italiano agonizzante: “Io sottoscritto […] mi impegno a far votare in Parlamento a tutto il gruppo parlamentare che rappresento, una legge che DIMEZZA le indennità dei parlamentari e INTRODUCE la rendicontazione puntuale dei rimborsi spesa”. Con 2 indicativi dove la nostra lingua imporrebbe congiuntivi.
Non solo. La foto è accompagnata da un testo esplicativo in cui si legge: “Io sono convinto che il voto del 4 marzo parlerà molto chiaro e che il governo del MoVimento 5 Stelle È l’unico possibile per non far ripiombare il Paese nel caos”.
Come dire: Di Maio in peggio.
Quello che colpisce è che qui non si tratta di discorso improvvisato o post scritto di getto quando, magari, il bisogno di concentrarsi sui contenuti può portare a trascurarne la forma.
In questo caso è stato preparato un vero e proprio documento, con tutto il tempo di riflettere, scrivere, rileggere, consultare una grammatica.
Quasi quasi sorge un sospetto.
E se, come teorizza il sopraccitato Marazzini, quegli strafalcioni rappresentassero “un manifesto che dice: io maltratto la lingua italiana esattamente come voi, non sono uno della Casta”?
Intendiamoci: non voglio sostenere che si commettano errori di proposito, ma che la trascuratezza linguistica sia considerata rappresentativa del cittadino medio e, dunque, tollerabile. Di più: addirittura vantaggiosa.
E magari questo italiano “spontaneo” finirà per contribuire alla vittoria elettorale, mentre la nostra meravigliosa lingua ne uscirà irrimediabilmente sconfitta.