“Non drammatizziamo… è solo questione di corna”, lo sosteneva già nel 1970 il titolo di un film di François Truffaut. A dire il vero in originale era un più austero “Domicile conjugal”, ma il traduttore italiano la sapeva lunga.
I fatti sono brillantemente riportati in un pezzo di Luisanna Benfatto sul Sole 24 Ore: AshleyMadison.com, sito canadese di dating che si rivolge a un target di “infedeli” (persone sposate o fidanzate), è stato violato da un gruppo hacker che ha reso pubblici i dati dei suoi 32 milioni di utenti, facendo passare momenti di puro terrore a tanti integerrimi esponenti della famiglia tradizionale.
Come se non bastasse, nelle ultime ore, la vicenda è stata condita da ben 3 suicidi: persone che si sono tolte la vita prima di essere travolte dallo scandalo sessuale, a testimonianza che, se la Rete è vulnerabile, l’essere umano lo è molto di più.
Quanto accaduto non solo ci ricorda che le aziende non fanno ancora investimenti adeguati per proteggere la nostra privacy, in un contesto in cui le minacce alla sicurezza hanno subito un’accelerazione senza precedenti, ma sottolinea anche che gli utenti sono talmente ingenui e sprovveduti da non rendersene conto e da ritenersi ancora liberi di iscriversi ad un sito di incontri extraconiugali con la mail aziendale (si parla di 15mila tra enti governativi, parastatali e militari).
Non solo.
L’intento degli hacker, secondo quanto dichiarato, è stato quello di “denunciare l’ipocrisia che si nasconde dietro l’infedeltà coniugale”.
Ma cosa c’entra, questo, con l’approccio che da sempre caratterizza la vera etica hacker, di ribellione contro l’establishment, i poteri forti e le istituzioni che limitano la libertà?
Che senso ha diffondere una lista di cornificatori da esporre al pubblico ludibrio la vita privata delle persone, laddove la fedeltà coniugale non è altro che una questione di stereotipi e cultura?
Più che paladini della giustizia, questi assomigliano più ad animatori dell’ultimo gossip estivo, messi a libro paga dai rotocalchi scandalistici.