La domanda è semplice (all’apparenza), la risposta è complicata (ma non troppo).
Cosa resterà di noi con l’applicazione estesa dell’Intelligenza Artificiale nelle mansioni che svolgiamo quotidianamente?
Alcuni studiosi sostengono che l’AI farà sparire molte professioni, come accaduto con le tecnologie del passato - lo ha detto, ad esempio, Lawrence Katz, economista del lavoro ad Harvard – ed io non voglio certo smentire il docente di una prestigiosa università americana. Però, se l’arrivo del treno che ha sostituito le carrozze trainate dai cavalli ha cancellato il mestiere dei cocchieri, ha anche creato milioni di posti di lavoro sui convogli e nelle ferrovie.
Il progresso toglie e cambia, il lavoro si modifica, richiede nuove competenze e differenti applicazioni, ma non si esaurisce.
L’AI non vive di vita propria, è un sistema che viene utilizzato (e programmato) dall’essere umano, e il fattore umano continuerà a fare la differenza (è di oggi la notizia che Google ha invitato i dipendenti a riscrivere le risposte della sua chatbot Bard).
Stiamo solo iniziando a riflettere sulle implicazioni, a vagliare un certo numero di scenari, sia positivi sia negativi. Ma è molto più interessante concentrarci sulle opportunità. La storia ci insegna che l’abbassamento dei costi di produzione e, di conseguenza, della qualità, genera crisi e ridimensionamenti, ma crea anche spazio per offerte più competitive.
Da dove cominciamo? Dalla scuola.
Il dibattito che si sta sviluppando in queste settimane negli Stati Uniti, dove l’uso di ChatGPT è già stato vietato in diversi istituti e università, è anacronistico.
L’Intelligenza Artificiale non deve essere bandita, ma insegnata.
Compito delle scuole è fornire gli strumenti per comprendere e usare al meglio le nuove tecnologie, formando i professionisti del domani, perché se un’Intelligenza Artificiale non potrà rubarti il lavoro, qualcuno che la sa utilizzare meglio di te lo farà senz’altro.