Un boato, le urla, la fuga: secondi infiniti di puro terrore.
Il terremoto arriva all’improvviso, spesso di notte, come un ladro, e ti ruba la vita.
A distanza di un anno resta un fermo immagine di abbandono: le macerie, le troppe storie di dolore e un buco nero chiamato “burocrazia” che inghiotte anche la speranza.
Lo “sfratto” di Giuseppa Fattori, 95 anni, è diventato il simbolo di una gestione inefficace del sisma in centro Italia, fatta di immobilismo, ritardi perenni e legislazione inadeguata.
Dopo aver perso la sua casa a San Martino di Fiastra, Peppina ha espresso un solo desiderio: quello di poter morire guardando i suoi monti, davanti alle macerie di quell’abitazione in cui ha trascorso tutta la vita.
E così i familiari le hanno costruito, su un terreno edificabile di sua proprietà, una casetta di legno a zero impatto ambientale, dove l’arzilla nonnina ha trovato un po’ di conforto fino al temerario gesto di un improvvisato eroe del senso civico che ha ben pensato di denunciarla alle autorità.
La casetta è stata sequestrata perché mancava la concessione edilizia che, peraltro, avrebbe richiesto troppo tempo per l’ottenimento.
In un Paese nel quale il cemento selvaggio è cresciuto a dismisura senza alcuna regola, incoraggiato dai condoni edilizi mai negati a chicchessia, solo nonna Peppina risulta abusiva.
E lo è non in quanto disonesta: lo è come tante persone che, vittime dei ritardi nella consegna delle casette e viste le improponibili condizioni di vita nei container, si sono arrangiate costruendosi da sole un ricovero di fortuna.
L’intollerabile storia di Peppina evidenzia un sistema legislativo inadeguato che, soprattutto durante situazioni estreme, con case ridotte in briciole e intere comunità distrutte, è privo della flessibilità necessaria per far fronte all’emergenza.
Il problema degli anziani terremotati non può essere risolto tramite l’allontanamento, che viene affrontato come una vera e propria “deportazione”.
Per loro, il senso della vita si lega ai luoghi dove l’hanno trascorsa: non riuscendo più a riconoscere questo mondo in continuo cambiamento, gli unici punti di riferimento che gli restano sono una casa, una terra, una comunità.
Peppina trascorrerà il resto dei suoi giorni in un container di circa 10 metri quadri, senza servizi igienici, a pochi metri dalla sua casetta, in faccia ai suoi monti.
Finalmente la legalità è salva.
La dignità, per niente.