Non possiamo avere il controllo della nostra vita, ma possiamo avere il controllo della parte di vita che pubblichiamo sui social.
Facebook e i suoi fratelli, infatti, ci consentono di mostrarci come vogliamo apparire agli altri, cioè rigorosamente attraverso l’immagine migliore, quella che riteniamo vincente, che costruiamo e plasmiamo con estrema cura e dedizione.
Vi siete chiesti come mai, il lunedì mattina, mentre i social pullulano di “Buongiorno mondo!” (conditi con tante faccine sorridenti), alla macchinetta del caffè si incontrano solo facce scure e persone che si lamentano?
Memoria corta probabilmente: tempo poche ore e lo sbandierato week end da sogno, con tutto quello sbrodolare di #meandyou #familytime #happiness #love è già sprofondato nell’oblio.
O, forse, non c’è mai stato.
Il problema è che, secondo 2 recenti studi coordinati da Christin Scholz ed Elisa Baek e pubblicati sulla rivista dell’Accademia americana di scienza (Pnas), lo stesso meccanismo funziona anche quando si tratta di condividere le news.
Addio autorevolezza, addio approfondimento: gli articoli che diventano virali sui social, molto semplicemente, sono quelli nei quali ci identifichiamo o che riteniamo possano favorire le nostre relazioni, facendoci apparire in una luce migliore.
In pratica: persone interessate a circondarsi di fascino, a sembrare empatiche e brillanti, leggono e condividono notizie legate alle proprie esperienze personali, che corrispondano alla percezione di sé o rappresentino come vorrebbero essere.
Usare la “pancia” al posto della “testa”, però, ci espone al proliferare di bufale che, secondo un’analisi condotta da BuzzFeed, finiscono per registrare più engagement rispetto alle storie vere, contribuendo ad avvelenare il dibattito pubblico e alimentando la macchina del fango.
Un esempio per tutti: in Italia, metà delle notizie più virali sul referendum costituzionale era completamente inventata.
Il risultato finale è che, nell’era del “condivido quindi sono”, il bisogno di apparire promuove la democrazia dell’ignoranza. Dove uno vale uno.